“Così termina il decennio della palude”, intervento di Dario Parrini sul Tirreno del 5 maggio


La riforma elettorale non è un granché e si poteva fare meglio, ha scritto su questo giornale Emanuele Rossi. Non condivido. L’Italicum è una legge molto buona e francamente non me la sento di iscrivermi al club del “si poteva fare di più”. L’immobilismo durato un decennio, il decennio 2005-15 dei grandi propositi inattuati, è per fortuna terminato. L’Italicum approvato ieri definitivamente dalla Camera dei deputati ha svariati pregi: la maggioranza di governo sarà scelta direttamente dai cittadini col voto e non frutto di tira e molla post-elettorali tra i partiti; non ci saranno mai più inciuci o larghe intese; oltre due terzi dei deputati di maggioranza saranno eletti con le preferenze; il premio sarà sempre ampiamente legittimato, perché andrà a chi otterrà almeno il 40% dei voti validi al primo turno o più del 50% al ballottaggio; sarà garantito per la prima volta l’equilibrio di genere; il premio alla lista impedirà la nascita di coalizioni rissose capaci di vincere ma incapaci di governare e incentiverà la riduzione della frammentazione spingendo a creare grandi aggregazioni; come nelle regioni e nei comuni, chi vince governa cinque anni, al termine dei quali va a casa o viene confermato a seconda che abbia male o bene operato. Questo è l’Italicum: stabilità, chiarezza e responsabilità. L’opposto del Porcellum. Altro che un suo aggiustamento. Non è infine vero che “quasi nessuno” degli eletti dei partiti minori sarà scelto con le preferenze. Per essere sicuri dell’elezione dei loro dirigenti principali, è certo che i partiti minori ricorreranno massicciamente alle pluricandidature. Motivo per cui avranno anch’essi non pochi eletti con le preferenze. In un quadro del genere, non è il capolista a decidere “chi fare entrare e chi no”: se, per esempio, risulterà eletto in cinque collegi, il capolista non sceglierà i quattro deputati che saranno eletti nei collegi non oggetto della propria opzione. In quei quattro casi, a contare saranno le preferenze. Dedico un’ultima considerazione a un errore che a mio avviso molti costituzionalisti, non Rossi a dire il vero, hanno compiuto discutendo di Italicum. Insegna la politologia che dei sistemi elettorali va valutato il prevedibile funzionamento. Almanaccare sui casi-limite, per definizione altamente improbabili, è esercizio poco costruttivo. Ne è riprova la furibonda polemica di qualche mese fa sugli effetti del listino bloccato facoltativo della nuova legge elettorale toscana. I suoi più faziosi detrattori sostenevano che avrebbe prodotto un consiglio regionale con la metà o un terzo di eletti senza preferenze. Quel giudizio, lo dicemmo subito, non aveva valore, perché fondato su irrealistiche ipotesi di scuola che trascuravano il peso delle concrete scelte politiche già in quel momento largamente prevedibili. Ora che le liste sono depositate, si può facilmente constatare che di consiglieri regionali eletti col listino ce ne sarà uno soltanto su quaranta, due al massimo. Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire.
Dario Parrini,
deputato e segretario toscano del Pd
“Così termina il decennio della palude”, intervento di Dario Parrini sul Tirreno del 5 maggio


La riforma elettorale non è un granché e si poteva fare meglio, ha scritto su questo giornale Emanuele Rossi. Non condivido. L’Italicum è una legge molto buona e francamente non me la sento di iscrivermi al club del “si poteva fare di più”. L’immobilismo durato un decennio, il decennio 2005-15 dei grandi propositi inattuati, è per fortuna terminato. L’Italicum approvato ieri definitivamente dalla Camera dei deputati ha svariati pregi: la maggioranza di governo sarà scelta direttamente dai cittadini col voto e non frutto di tira e molla post-elettorali tra i partiti; non ci saranno mai più inciuci o larghe intese; oltre due terzi dei deputati di maggioranza saranno eletti con le preferenze; il premio sarà sempre ampiamente legittimato, perché andrà a chi otterrà almeno il 40% dei voti validi al primo turno o più del 50% al ballottaggio; sarà garantito per la prima volta l’equilibrio di genere; il premio alla lista impedirà la nascita di coalizioni rissose capaci di vincere ma incapaci di governare e incentiverà la riduzione della frammentazione spingendo a creare grandi aggregazioni; come nelle regioni e nei comuni, chi vince governa cinque anni, al termine dei quali va a casa o viene confermato a seconda che abbia male o bene operato. Questo è l’Italicum: stabilità, chiarezza e responsabilità. L’opposto del Porcellum. Altro che un suo aggiustamento. Non è infine vero che “quasi nessuno” degli eletti dei partiti minori sarà scelto con le preferenze. Per essere sicuri dell’elezione dei loro dirigenti principali, è certo che i partiti minori ricorreranno massicciamente alle pluricandidature. Motivo per cui avranno anch’essi non pochi eletti con le preferenze. In un quadro del genere, non è il capolista a decidere “chi fare entrare e chi no”: se, per esempio, risulterà eletto in cinque collegi, il capolista non sceglierà i quattro deputati che saranno eletti nei collegi non oggetto della propria opzione. In quei quattro casi, a contare saranno le preferenze. Dedico un’ultima considerazione a un errore che a mio avviso molti costituzionalisti, non Rossi a dire il vero, hanno compiuto discutendo di Italicum. Insegna la politologia che dei sistemi elettorali va valutato il prevedibile funzionamento. Almanaccare sui casi-limite, per definizione altamente improbabili, è esercizio poco costruttivo. Ne è riprova la furibonda polemica di qualche mese fa sugli effetti del listino bloccato facoltativo della nuova legge elettorale toscana. I suoi più faziosi detrattori sostenevano che avrebbe prodotto un consiglio regionale con la metà o un terzo di eletti senza preferenze. Quel giudizio, lo dicemmo subito, non aveva valore, perché fondato su irrealistiche ipotesi di scuola che trascuravano il peso delle concrete scelte politiche già in quel momento largamente prevedibili. Ora che le liste sono depositate, si può facilmente constatare che di consiglieri regionali eletti col listino ce ne sarà uno soltanto su quaranta, due al massimo. Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire.
Dario Parrini,
deputato e segretario toscano del Pd
Italicum, Parrini “Termina decennio dell’immobilismo. Avanti con orgoglio”



Con questo post scritto sul suo profilo Facebook appena approvato l’Italicum Dario Parrini, deputato e segretario regionale del Pd della Toscana, plaude al varo della nuova legge elettorale.
Italicum, Parrini “Termina decennio dell’immobilismo. Avanti con orgoglio”



Con questo post scritto sul suo profilo Facebook appena approvato l’Italicum Dario Parrini, deputato e segretario regionale del Pd della Toscana, plaude al varo della nuova legge elettorale.
1 maggio, Parrini: “Occasione per ribadire centralità Lavoro per Pd. Accordo Piombino simbolo impegno profuso da Regione in questi anni”



“Rompendo un lungo immobilismo – scrive Parrini riferendosi all’azione del Governo – abbiamo ridotto drasticamente il costo del lavoro e le tasse a milioni di lavoratori dipendenti. Da alcune settimane vige una riforma pensata per favorire le assunzioni stabili e dare tutela a un maggior numero di persone in caso di perdita del posto di lavoro. Ci sono segnali positivi: Pil, ordini e fatturato dell’industria, aumento della percentuale di contratti a tempo indeterminato sul totale dei contratti attivati, export, fiducia di consumatori e imprese. Ma certamente, come dimostra l’odierno dato Istat sulla disoccupazione, il cammino della ripresa non è né in discesa né privo di incognite. Solo tra qualche mese potremo credibilmente misurare gli effetti dei provvedimenti assunti. Tuttavia è chiaro fin d’ora che occorre che non ci fermiamo. Bene quel che si è fatto. Ma dobbiamo fare ancora di più: ancora meno tasse su lavoro e imprese, meno burocrazia, più investimenti. Sappiamo che c’è chi critica le nostre scelte. Rispettiamo le critiche. E ci confrontiamo con chi ce le rivolge. Francamente – continua il segretario regionale del Pd toscano – le riteniamo errate. Perché di un impegno così forte per la crescita e per il lavoro non ci sono precedenti negli ultimi vent’anni in Italia. Infine un’annotazione tutta toscana: è positivo, anche sul piano simbolico, che alla vigilia del Primo Maggio sia arrivata una schiarita da Piombino, con l’accordo tra Cevital e sindacati per la riassunzione di tutti gli ex dipendenti Lucchini entro l’inizio del 2017. Piombino è il simbolo del grande impegno per il lavoro profuso in questi anni dalla Regione. L’emblema di una buona pratica di governo e di una buona politica industriale. Un esempio di cui tener conto sempre” conclude Parrini
1 maggio, Parrini: “Occasione per ribadire centralità Lavoro per Pd. Accordo Piombino simbolo impegno profuso da Regione in questi anni”



“Rompendo un lungo immobilismo – scrive Parrini riferendosi all’azione del Governo – abbiamo ridotto drasticamente il costo del lavoro e le tasse a milioni di lavoratori dipendenti. Da alcune settimane vige una riforma pensata per favorire le assunzioni stabili e dare tutela a un maggior numero di persone in caso di perdita del posto di lavoro. Ci sono segnali positivi: Pil, ordini e fatturato dell’industria, aumento della percentuale di contratti a tempo indeterminato sul totale dei contratti attivati, export, fiducia di consumatori e imprese. Ma certamente, come dimostra l’odierno dato Istat sulla disoccupazione, il cammino della ripresa non è né in discesa né privo di incognite. Solo tra qualche mese potremo credibilmente misurare gli effetti dei provvedimenti assunti. Tuttavia è chiaro fin d’ora che occorre che non ci fermiamo. Bene quel che si è fatto. Ma dobbiamo fare ancora di più: ancora meno tasse su lavoro e imprese, meno burocrazia, più investimenti. Sappiamo che c’è chi critica le nostre scelte. Rispettiamo le critiche. E ci confrontiamo con chi ce le rivolge. Francamente – continua il segretario regionale del Pd toscano – le riteniamo errate. Perché di un impegno così forte per la crescita e per il lavoro non ci sono precedenti negli ultimi vent’anni in Italia. Infine un’annotazione tutta toscana: è positivo, anche sul piano simbolico, che alla vigilia del Primo Maggio sia arrivata una schiarita da Piombino, con l’accordo tra Cevital e sindacati per la riassunzione di tutti gli ex dipendenti Lucchini entro l’inizio del 2017. Piombino è il simbolo del grande impegno per il lavoro profuso in questi anni dalla Regione. L’emblema di una buona pratica di governo e di una buona politica industriale. Un esempio di cui tener conto sempre” conclude Parrini
Italicum, Lettera aperta dei segretari regionali ai Deputati Pd



Care Deputate, cari Deputati,
sulla legge elettorale il Pd sarà chiamato a offrire al Paese una grande dimostrazione di serietà. Se l’Italicum dovesse essere vanificato da imboscate a voto segreto, metteremmo a rischio la tenuta del governo che il Pd sta guidando. Da mesi discutiamo delle norme necessarie per modernizzare le nostre istituzioni e renderle più in grado di prendere decisioni utili alla collettività. I cittadini vogliono una politica finalmente capace di realizzare concreti cambiamenti. Di questa aspettativa, oggi piu’ che mai, e’ tenuto a farsi carico il Pd. Per superare tale prova il nostro partito deve mettere in campo il massimo possibile di compattezza e di senso di responsabilita’ nazionale.
Se il Pd che il 41% degli elettori ha votato fallisse il colpo, perderebbe la dignita’ oggi e le elezioni domani. Lo spirito unitario che ha segnato le pagine migliori del nostro passato non puo’ venir meno in questa cruciale circostanza. Come abbiamo sempre fatto e come continueremo a fare, abbiamo discusso, ci siamo ascoltati, abbiamo corretto, abbiamo piu’ volte votato negli organismi direttivi del partito e dei gruppi parlamentari. Siamo infine giunti a un testo di riforma che rappresenta un indubbio passo avanti: un punto di equilibrio che tutti noi possiamo rivendicare come un risultato rilevante, quali che siano le nostre opinioni su singole questioni. Se un processo di confronto democratico cosi’ ampio, e dagli esiti cosi’ positivi, dovesse essere vanificato da imboscate a voto segreto, metteremmo a rischio la tenuta del governo che il Pd sta guidando, e, insieme ad essa, una cosa che e’ altrettanto essenziale per la nostra comunità politica, per i milioni di uomini e di donne che tutti noi, collettivamente, abbiamo l’onore e il dovere di rappresentare. A voi che siete i nostri deputati e le nostre deputate a tutti indistintamente, rivolgiamo un appello: adoperatevi affinchè le riforme, a partire da quella elettorale, non vengano fermate e vadano in porto senza nessun altro indugio. Perche’ cio’ accada c’e’ bisogno di tutto il vostro impegno, di tutto il vostro senso del partito, di tutta la vostra capacita’ di agire al servizio dell’interesse generale”.
Così i venti segretari regionali del Pd in una lettera aperta ai deputati del Partito democratico sulla legge elettorale. Le firme sono di
Fulvio Centoz, Segretario regionale Valle d’Aosta,
Davide Gariglio, Segretario regionale Piemonte,
Giovanni Lunardon, Segretario regionale Liguria,
Alessandro Alfieri, Segretario regionale Lombardia,
Roger De Menech, Segretario regionale Veneto,
Liliana Di Fede, Segretario regionale Alto Adige,
Giulia Robol, Segretario regionale Trentino,
Antonella Grim, Segretario regionale Friuli Venezia Giulia,
Stefano Bonaccini, Segretario regionale Emilia-Romagna,
Dario Parrini, Segretario regionale Toscana,
Francesco Comi, Segretario regionale Marche,
Giacomo Leonelli, Segretario regionale Umbria,
Fabio Melilli, Segretario regionale Lazio,
Marco Rapino, Segretario regionale Abruzzo,
Micaela Fanelli, Segretario regionale Molise,
Assunta Tartaglione, Segretario regionale Campania,
Michele Emiliano, Segretario regionale Puglia,
Ernesto Magorno, Segretario regionale Calabria,
Fausto Raciti, Segretario regionale Sicilia,
Renato Soru, Segretario regionale Sardegna.
Italicum, Lettera aperta dei segretari regionali ai Deputati Pd



Care Deputate, cari Deputati,
sulla legge elettorale il Pd sarà chiamato a offrire al Paese una grande dimostrazione di serietà. Se l’Italicum dovesse essere vanificato da imboscate a voto segreto, metteremmo a rischio la tenuta del governo che il Pd sta guidando. Da mesi discutiamo delle norme necessarie per modernizzare le nostre istituzioni e renderle più in grado di prendere decisioni utili alla collettività. I cittadini vogliono una politica finalmente capace di realizzare concreti cambiamenti. Di questa aspettativa, oggi piu’ che mai, e’ tenuto a farsi carico il Pd. Per superare tale prova il nostro partito deve mettere in campo il massimo possibile di compattezza e di senso di responsabilita’ nazionale.
Se il Pd che il 41% degli elettori ha votato fallisse il colpo, perderebbe la dignita’ oggi e le elezioni domani. Lo spirito unitario che ha segnato le pagine migliori del nostro passato non puo’ venir meno in questa cruciale circostanza. Come abbiamo sempre fatto e come continueremo a fare, abbiamo discusso, ci siamo ascoltati, abbiamo corretto, abbiamo piu’ volte votato negli organismi direttivi del partito e dei gruppi parlamentari. Siamo infine giunti a un testo di riforma che rappresenta un indubbio passo avanti: un punto di equilibrio che tutti noi possiamo rivendicare come un risultato rilevante, quali che siano le nostre opinioni su singole questioni. Se un processo di confronto democratico cosi’ ampio, e dagli esiti cosi’ positivi, dovesse essere vanificato da imboscate a voto segreto, metteremmo a rischio la tenuta del governo che il Pd sta guidando, e, insieme ad essa, una cosa che e’ altrettanto essenziale per la nostra comunità politica, per i milioni di uomini e di donne che tutti noi, collettivamente, abbiamo l’onore e il dovere di rappresentare. A voi che siete i nostri deputati e le nostre deputate a tutti indistintamente, rivolgiamo un appello: adoperatevi affinchè le riforme, a partire da quella elettorale, non vengano fermate e vadano in porto senza nessun altro indugio. Perche’ cio’ accada c’e’ bisogno di tutto il vostro impegno, di tutto il vostro senso del partito, di tutta la vostra capacita’ di agire al servizio dell’interesse generale”.
Così i venti segretari regionali del Pd in una lettera aperta ai deputati del Partito democratico sulla legge elettorale. Le firme sono di
Fulvio Centoz, Segretario regionale Valle d’Aosta,
Davide Gariglio, Segretario regionale Piemonte,
Giovanni Lunardon, Segretario regionale Liguria,
Alessandro Alfieri, Segretario regionale Lombardia,
Roger De Menech, Segretario regionale Veneto,
Liliana Di Fede, Segretario regionale Alto Adige,
Giulia Robol, Segretario regionale Trentino,
Antonella Grim, Segretario regionale Friuli Venezia Giulia,
Stefano Bonaccini, Segretario regionale Emilia-Romagna,
Dario Parrini, Segretario regionale Toscana,
Francesco Comi, Segretario regionale Marche,
Giacomo Leonelli, Segretario regionale Umbria,
Fabio Melilli, Segretario regionale Lazio,
Marco Rapino, Segretario regionale Abruzzo,
Micaela Fanelli, Segretario regionale Molise,
Assunta Tartaglione, Segretario regionale Campania,
Michele Emiliano, Segretario regionale Puglia,
Ernesto Magorno, Segretario regionale Calabria,
Fausto Raciti, Segretario regionale Sicilia,
Renato Soru, Segretario regionale Sardegna.
Intervento di Dario Parrini alla Camera sul Def (Documento di economia e finanza)



Grazie Presidente,
operiamo in un quadro economico in cui cominciano a manifestarsi, dopo una lunga recessione, sviluppi favorevoli. Non sono tuttavia scomparsi rischi e incognite. In una situazione del genere l’ultima cosa che possiamo permetterci è collocare la nostra discussione sul terreno retoricamente redditizio ma politicamente infido degli euroscetticismi di maniera, degli esercizi di stile accademici, degli svolazzi oratori e delle chimere, oppure dell’elencazione sconclusionata e disorganica di problemi di ogni ordine e grado, senza che tale elencazione sia accompagnata da proposte minimamente praticabili e credibili. Incursioni su questo terreno politicamente infido non sono mancate nemmeno oggi in questa nostra discussione. Non è ciò che serve al Paese.
Siamo tenuti a fare i conti con la realtà, senza imboccare la pericolosa scorciatoia della dilatazione del deficit e della spesa pubblica, in fondo alla quale non ci sarebbero che un livello più alto dei tassi di interesse e la necessità di sottoporre il nostro sistema produttivo a interventi bruscamente e pericolosamente restrittivi.
Ovviamente non dobbiamo far coincidere il realismo con l’immobilismo.
Anzi, dobbiamo partire dalla presa d’atto dei vincoli oggettivi entro i quali agiamo per alimentare iniziative in grado di recidere i nodi struttuali che da troppo tempo, nel nostro Paese, tengono prigioniero il cambiamento.
Da un anno a questa parte il governo sta praticando, con un’incisività e un’ampiezza d’impatto senza eguali in tempi recenti, una politica di innovazione responsabile, di lotta senza tregua al paralizzante groviglio di manchevolezze e di ritardi formatosi negli ultimi decenni e sfortunatamente troppo a lungo non fatto oggetto di robusti e convincenti tentativi di dipanamento.
Anche il dato odierno del ministero del lavoro, che parla di un differenziale positivo in marzo pari a 90 mila posti di lavoro tra assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro subordinato, con un aumento sensibile della quota dei contratti a tempo indeterminato, ci dice che questa nostra battaglia per il cambiamento può progressivamente ottenere risultati.
Il Def di cui oggi si discute è la naturale prosecuzione dello sforzo di cui ho appena parlato. Ciò che vogliamo conseguire è la riduzione del divario che in tanti settori separa le nostre prassi dalle migliori pratiche europee.
La sua finalità di fondo è indicare attraverso quali vie si può dare continuità alle scelte di svolta compiute con la legge di stabilità approvata alla fine del 2014. Una legge che ha aperto la strada alla detassazione del lavoro e alla riduzione dei costi d’impresa. Una legge che ha impresso nuovo slancio alla revisione della spesa pubblica e alla lotta all’evasione fiscale.
Nel perseguire questi obiettivi non dobbiamo lasciarci sfuggire nessuna delle occasioni offerteci dal nuovo contesto macroeconomico di cui anche oggi in questo dibattito molti colleghi hanno parlato, citando fenomeni positivi come la riduzione dei corsi del petrolio, il deprezzamento dell’euro e il corposo incremento dell’offerta di moneta deciso dalla Bce.
Non ci nascondiamo il perdurare di fattori di preoccupazione: ad esempio un ancora non sufficiente solidarietà intraeuropea per la correzione degli squilibri macroeconomici e un impegno per gli investimenti superiore al passato ma non ancora ampio quanto sarebbe necessario.
Tuttavia siamo consapevoli del fatto che riusciremo a cogliere queste occasioni solo se sapremo mantenerci fermi nella volontà di coniugare una gestione rigorosa della finanza pubblica con una politica di crescita che punti a ridurre in maniera equa tasse, spesa pubblica, burocrazia; e a rendere possibile un salto di qualità nel campo delle infrastrutture materiali e immateriali.
Il Def in discussione disegna una cornice che rende tutto ciò possibile. E per questo merita un giudizio postiivo da parte nostra.
Importante è la scelta di non prevedere nuove tasse. Importante è la decisione di disattivare le clausole di salvaguarida e di disinnescare gli aumenti Iva utilizzando a questo scopo sia il dividendo del buongoverno che si presenta sotto forma di aumento del tasso di crescita, rispetto alle ultime previsioni, e di riduzione dei tassi di interesse; sia i frutti di un’ulteriore accelerazione della revisione della spesa pubblica, possibile senza penalizzare i servizi se continueremo a prosciugare la palude delle ancora troppo numerose inefficienze e arretratezze che condizionano parti rilevanti della nostra pubblica amministrazione.
Certo saremo all’altezza del nostro compiuto se, al di là di ogni stucchevole e inconsistente schermaglia polemica sui tesoretti, riusciremo a costruire le premesse per arricchire le scelte già compiute con misure di flessibilizzazione in uscita sul fronte delle pensioni; con misure di prolungamento oltre il 2015 della decontribuzione per i neoassunti a tempo indeterminato; con misure di riordino della fiscalità locale a invarianza di gettito; con misure di sostegno delle fasce più vulnerabili della popolazione.
Dunque, altro che improvvisazioni e ottimismi di facciata, com’è stato ripetuto qui stamani da alcuni esponenti dell’opposizione.
Altro che fuffa, come ho sentito dire da qualche baldanzoso e incauto collega.
Altro che menzogne e disattenzione al lavoro.
Altro che assenza di una seria politica di lungo periodo.
Una seria politica di lungo periodo, nutrita coi valori e con l’energia e con la passione che fin qui ci ha mosso nell’opera di governo, è esattamente ciò che caratterizza il nostro impegno per cambiare e migliorare il Paese.
Intervento di Dario Parrini alla Camera sul Def (Documento di economia e finanza)



Grazie Presidente,
operiamo in un quadro economico in cui cominciano a manifestarsi, dopo una lunga recessione, sviluppi favorevoli. Non sono tuttavia scomparsi rischi e incognite. In una situazione del genere l’ultima cosa che possiamo permetterci è collocare la nostra discussione sul terreno retoricamente redditizio ma politicamente infido degli euroscetticismi di maniera, degli esercizi di stile accademici, degli svolazzi oratori e delle chimere, oppure dell’elencazione sconclusionata e disorganica di problemi di ogni ordine e grado, senza che tale elencazione sia accompagnata da proposte minimamente praticabili e credibili. Incursioni su questo terreno politicamente infido non sono mancate nemmeno oggi in questa nostra discussione. Non è ciò che serve al Paese.
Siamo tenuti a fare i conti con la realtà, senza imboccare la pericolosa scorciatoia della dilatazione del deficit e della spesa pubblica, in fondo alla quale non ci sarebbero che un livello più alto dei tassi di interesse e la necessità di sottoporre il nostro sistema produttivo a interventi bruscamente e pericolosamente restrittivi.
Ovviamente non dobbiamo far coincidere il realismo con l’immobilismo.
Anzi, dobbiamo partire dalla presa d’atto dei vincoli oggettivi entro i quali agiamo per alimentare iniziative in grado di recidere i nodi struttuali che da troppo tempo, nel nostro Paese, tengono prigioniero il cambiamento.
Da un anno a questa parte il governo sta praticando, con un’incisività e un’ampiezza d’impatto senza eguali in tempi recenti, una politica di innovazione responsabile, di lotta senza tregua al paralizzante groviglio di manchevolezze e di ritardi formatosi negli ultimi decenni e sfortunatamente troppo a lungo non fatto oggetto di robusti e convincenti tentativi di dipanamento.
Anche il dato odierno del ministero del lavoro, che parla di un differenziale positivo in marzo pari a 90 mila posti di lavoro tra assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro subordinato, con un aumento sensibile della quota dei contratti a tempo indeterminato, ci dice che questa nostra battaglia per il cambiamento può progressivamente ottenere risultati.
Il Def di cui oggi si discute è la naturale prosecuzione dello sforzo di cui ho appena parlato. Ciò che vogliamo conseguire è la riduzione del divario che in tanti settori separa le nostre prassi dalle migliori pratiche europee.
La sua finalità di fondo è indicare attraverso quali vie si può dare continuità alle scelte di svolta compiute con la legge di stabilità approvata alla fine del 2014. Una legge che ha aperto la strada alla detassazione del lavoro e alla riduzione dei costi d’impresa. Una legge che ha impresso nuovo slancio alla revisione della spesa pubblica e alla lotta all’evasione fiscale.
Nel perseguire questi obiettivi non dobbiamo lasciarci sfuggire nessuna delle occasioni offerteci dal nuovo contesto macroeconomico di cui anche oggi in questo dibattito molti colleghi hanno parlato, citando fenomeni positivi come la riduzione dei corsi del petrolio, il deprezzamento dell’euro e il corposo incremento dell’offerta di moneta deciso dalla Bce.
Non ci nascondiamo il perdurare di fattori di preoccupazione: ad esempio un ancora non sufficiente solidarietà intraeuropea per la correzione degli squilibri macroeconomici e un impegno per gli investimenti superiore al passato ma non ancora ampio quanto sarebbe necessario.
Tuttavia siamo consapevoli del fatto che riusciremo a cogliere queste occasioni solo se sapremo mantenerci fermi nella volontà di coniugare una gestione rigorosa della finanza pubblica con una politica di crescita che punti a ridurre in maniera equa tasse, spesa pubblica, burocrazia; e a rendere possibile un salto di qualità nel campo delle infrastrutture materiali e immateriali.
Il Def in discussione disegna una cornice che rende tutto ciò possibile. E per questo merita un giudizio postiivo da parte nostra.
Importante è la scelta di non prevedere nuove tasse. Importante è la decisione di disattivare le clausole di salvaguarida e di disinnescare gli aumenti Iva utilizzando a questo scopo sia il dividendo del buongoverno che si presenta sotto forma di aumento del tasso di crescita, rispetto alle ultime previsioni, e di riduzione dei tassi di interesse; sia i frutti di un’ulteriore accelerazione della revisione della spesa pubblica, possibile senza penalizzare i servizi se continueremo a prosciugare la palude delle ancora troppo numerose inefficienze e arretratezze che condizionano parti rilevanti della nostra pubblica amministrazione.
Certo saremo all’altezza del nostro compiuto se, al di là di ogni stucchevole e inconsistente schermaglia polemica sui tesoretti, riusciremo a costruire le premesse per arricchire le scelte già compiute con misure di flessibilizzazione in uscita sul fronte delle pensioni; con misure di prolungamento oltre il 2015 della decontribuzione per i neoassunti a tempo indeterminato; con misure di riordino della fiscalità locale a invarianza di gettito; con misure di sostegno delle fasce più vulnerabili della popolazione.
Dunque, altro che improvvisazioni e ottimismi di facciata, com’è stato ripetuto qui stamani da alcuni esponenti dell’opposizione.
Altro che fuffa, come ho sentito dire da qualche baldanzoso e incauto collega.
Altro che menzogne e disattenzione al lavoro.
Altro che assenza di una seria politica di lungo periodo.
Una seria politica di lungo periodo, nutrita coi valori e con l’energia e con la passione che fin qui ci ha mosso nell’opera di governo, è esattamente ciò che caratterizza il nostro impegno per cambiare e migliorare il Paese.
