Vincere le prossime elezioni europee per cambiare l’Europa. Intervento di Dario Parrini

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9 marzo 2014 – Mancano due mesi e mezzo alle elezioni europee ed è evidente che i partiti di sinistra e di centrosinistra dell’Ue debbono vincerle affinché possa prodursi nel nostro continente una riscossa progressista e di conseguenza un cambiamento delle politiche economiche e sociali. Cambiamento che appare più che mai indispensabile e urgente.

Al momento ci sono capi di governo progressisti solo in 13 stati su 28 dell’Ue (corrispondenti a circa 206 mln di abitanti su 510mln di abitanti totali dell’Ue, cioè il 40,4%).

Se consideriamo i 10 Paesi più grandi, quelli con un capo di governo progressista sono 4 (Francia, Italia, Slovacchia e Belgio: per un totale di circa 159mln di abitanti, il 38%).

Quelli con un capo di governo conservatore sono invece 6 (Germania, Regno Unito, Spagna, Polonia, Paesi Bassi e Grecia: per un totale di circa 259mln di abitanti, il 62%).

Nella Commissione Europea solo 7 commissari su 28 appartengono a partiti di sinistra o di centrosinistra.

E nelle sette elezioni europee svoltesi dal 1979 (1979, 1984, 1989, 1994, 1999, 2004, 2009) i progressisti sono arrivati primi soltanto due volte (nel 1989 e nel 1994) e hanno perso nettamente le ultime tre.

Se diamo un’occhiata alle intenzioni di voto nei principali Paesi europei (come riportate negli opinion polls pubblicati settimanalmente su Policy Network), appuriamo che i partiti progressisti si attestano tra il 25 e il 30% delle intenzioni di voto in Belgio, Germania, Italia e Svezia; tra il 38 e il 43% in Portogallo, Regno Unito e Slovacchia; intorno al 22% in Francia e in Danimarca.

Ho fornito molti numeri ma sono numeri tutt’altro che aridi: fanno capire bene quanto sia alta la posta in gioco del voto europeo di fine maggio. E quanto sia ardua la sfida che le forze progressiste europee devono affrontare e cercare in ogni modo di vincere. In questa direzione debbono impegnarsi a fondo tutti coloro, e io credo che siano tanti, che auspicano l’avvio di una stagione di minore disoccupazione e di maggiore giustizia sociale in Europa.

Anche perché un grosso rischio incombe sulle nostre speranze: spinti dalla rabbia sociale generata dalla Lunga Recessione, i partiti classificabili come anti-europei o populisti fanno registrare intenzioni di voto anormalmente elevate in diversi Paesi (la fonte sono sempre gli opinion polls pubblicati da Policy Network): il 17,4% i Veri Finlandesi in Finlandia; il 22% il Fronte Nazionale in Francia; l’11% Alba Dorata in Grecia; il 10% Jobbik in Ungheria (ma nemmeno Alleanza Civica-Fidesz, partito di estrema destra del premier Orban dato al 37%, scherza in quanto ad euroscetticismo); il M5S al 22% e la Lega Nord al 4% in Italia; il Partito della Libertà al 16% nei Paesi Bassi; l’Ukip al 13% nel Regno Unito.

Il populismo appare invece sostanzialmente sotto controllo in Germania, dove il partito euroscettico Alternativa per la Germania non supera il 4% delle intenzioni di voto. Ciò non deve meravigliare: la Germania è un Paese nel quale la disoccupazione complessiva è meno della metà di quella italiana e quella giovanile è sei volte più bassa.

 

Dario Parrini,

segretario PD Toscana