“È una legge corretta e democratica”, intervento di Dario Parrini sul Tirreno
15 settembre 2014 – “Approvata la nuova legge elettorale regionale, il Pd toscano può affermare con fierezza di aver mantenuto tutti gli impegni di riforma istituzionale assunti coi cittadini: abbiamo ridotto da 55 a 40 i consiglieri regionali e da 10 a 8 gli assessori; abbiamo rottamato una brutta legge elettorale reintroducendo le preferenze e permettendo ai cittadini di tornare a contare molto di più delle segreterie dei partiti; per primi in Italia useremo il doppio turno e più di ogni altra regione promuoveremo la parità di genere. Tutto questo senza venir meno al principio che le regole del gioco si cambiano con la principale forza di opposizione, e con un accordo nel quale abbiamo ottenuto assai più di quanto abbiamo concesso. Sulla questione del premio di maggioranza non posso condividere ciò che ha scritto ieri su queste pagine Emanuele Rossi. Il quale, credo per un equivoco, ha indicato come limite della nuova legge elettorale quello che è in realtà uno dei suoi maggiori pregi: la “democratizzazione” del premio di maggioranza in un sistema che, come tutti gli altri sistemi elettorali regionali e comunali, e a differenza del sistema per eleggere i parlamentari, poggia sull’elezione diretta del presidente dell’organo esecutivo. Se, come sostiene Rossi, il “premio alla toscana” fosse sospettabile di incostituzionalità, lo sarebbero due volte tanto tutti gli altri sistemi elettorali regionali, alcuni dei quali modificati di recente. In Toscana, secondo la nuova legge, un candidato presidente che dovesse prevalere con il 38% – e che fosse collegato a liste che, a causa di un massiccio voto disgiunto, si fermassero al 32% – sarebbe costretto, per ottenere il premio di maggioranza, a un turno di ballottaggio. Questa garanzia ad oggi esiste solo in Toscana. In Lombardia (legge 17/2012), nell’ipotesi di lavoro di cui sopra, si attribuirebbe subito alla coalizione del presidente, senza nessun ballottaggio, il 55% dei seggi, e questo per assurdo avverrebbe anche se il presidente vincesse col 30%. La legge lombarda, come quella di tutte le altre regioni, è a turno unico e non prevede che l’assegnazione di un cospicuo premio sia subordinata al raggiungimento di una quota minima di consensi. Le cose stanno così anche in Emilia-Romagna, secondo la legge 21/2014. E stanno così anche in Piemonte, dove si è votato meno di quattro mesi fa. E stanno così anche altrove. E soprattutto stanno così nella legge elettorale universalmente ritenuta la più efficiente del sistema italiano: quella con cui dal 1993 si eleggono direttamente i sindaci nei comuni con più di quindicimila abitanti (che è anche la legge con cui si sono eletti i presidenti delle giunte provinciali finché le province non sono diventate enti di secondo grado). Salvo alcune differenze, la legge dei sindaci del 1993 nasce dalla stessa filosofia che ha ispirato la nuova legge toscana: elezione diretta e congiunta del vertice del potere esecutivo e dell’assemblea elettiva; attribuzione di un forte premio di maggioranza al superamento di una soglia prestabilita; possibilità che la coalizione del candidato sindaco vincitore prenda il 60% dei seggi anche in presenza di un significativo voto disgiunto. Se, quindi, avesse ragione Rossi, dovremmo indiziare di incostituzionalità tutti i sistemi elettorali delle regioni italiane e il sistema di elezione diretta del sindaco. La qual cosa non sembra né possibile né ragionevole. Né credo che il professor Rossi, per il quale provo sincera stima, la pensi”
Dario Parrini, segretario regionale del Pd