“Caro Chiti, meriti quattro in pagella” – Intervento di Dario Parrini su Il Tirreno del 27 aprile 2014
27 aprile 2014 – A Vannino Chiti, di cui ho letto con stupore l’intervista sul “Tirreno”, do 4 in pagella. Nel merito e nel metodo. Nel metodo penso sia fantascienza invocare il principio di non negoziabilità e il voto di coscienza sulle riforme costituzionali.
Può pensarlo un giovanotto alle prime armi, non uno che già trent’anni fa faceva il segretario regionale del Pci. Se questioni come la forma di Stato e di governo e la legge elettorale fossero una materia su cui ciascuno può fare come gli pare, andando contro le decisioni prese a larga maggioranza dal suo gruppo parlamentare e dal suo partito, non avrebbe senso l’esistenza di un ministero dedicato alle riforme, uno dei più politici che ci siano. A saperlo meglio di tutti dovrebbe essere proprio Chiti, che nel 2006-08 è stato l’ultimo ministro per le Riforme del centrosinistra prima di Maria Elena Boschi. Non mi pare quindi che Vannino possa fare la vittima, o l’incompreso. Anzi mi meraviglia che non comprenda, per la storia che ha, che su questo versante il Pd deve rimanere unito. Non possiamo permetterci di procedere in ordine sparso in questo momento delicato. Io non scomunico nessuno. Ma come segretario regionale democratico mi sento in dovere di esortare Chiti a ritirare il suo disegno di legge, con un atto di responsabilità e di buonsenso. Anche perché la sua analisi è in termini di merito straordinariamente debole. Lo è così tanto che più che un impoverimento della democrazia rischiamo un impoverimento dello spessore del dibattito costituzionale. Dove sta scritto che una Camera eletta con metodo maggioritario debba convivere con un Senato eletto direttamente? Regno Unito e Francia hanno leggi elettorali fortemente maggioritarie e senatori non eletti dai cittadini. L’Ulivo di Prodi nel 1996 propose un Senato alla tedesca, completamente non elettivo, mentre in Italia vigeva un sistema elettorale decisamente maggioritario come il Mattarellum, introdotto tre anni prima. Chiti dovrebbe ricordarlo: all’epoca era presidente di Regione per il Pds, non un dirigente di terzo piano. La verità a mio giudizio è che compiono una mistificazione bella e buona quanti si riducono a rappresentare l’attuale discussione sulle riforme istituzionali come una tenzone tra fautori dell’uomo forte da una parte e sinceri democratici dall’altra. Le cose non stanno così, ovviamente: quello che sta andando in scena a sinistra non è che il prosieguo di un confronto, in corso perlomeno dai tempi dei referendum del 1991-93, tra chi ritiene che l’Italia abbia bisogno di un sistema compiutamente maggioritario, in grado pur coi dovuti contrappesi di formare maggioranze stabili e sicure e di assumere decisioni rapide ed efficaci, e coloro che al contrario sono portatori di una cultura sostanzialmente proporzionalistica. Del resto è solo in quest’ottica che risultano comprensibili certe recenti levate di scudi contro l’Italicum, accusato da alcuni suoi contestatori di essere un meccanismo elettorale “ipermaggioritario” mentre di fatto esso genera, nel trasformare i voti in seggi, una disproporzionalità analoga a quella del Mattarellum, il sistema con cui, senza nessun tipo di drammatizzazione, eleggemmo i parlamentari dal 1994 al 2001.
Dario Parrini
deputato, Segretario Pd Toscana